Il lavoro part-time in Europa: un fenomeno a prevalenza femminile tra flessibilità e precarietà

In base al IX Rapporto sulle libere professioni di Confprofessioni, presentato a Roma il 12 novembre, il lavoro part-time è una modalità che sta diventando sempre più diffusa in Europa, ma le dinamiche che lo caratterizzano variano notevolmente da un paese all’altro. In generale, sebbene il part-time venga spesso associato a una maggiore flessibilità, la sua applicazione dipende fortemente dalle caratteristiche del mercato del lavoro e dalle politiche economiche adottate in ciascun paese. In alcuni paesi, come quelli del Nord Europa, il part-time è considerato uno strumento utile per conciliare vita professionale e privata, mentre in altri, specialmente nel Sud Europa, il part-time è spesso legato a situazioni di sottooccupazione e precariato.
I dati Eurostat 2023, analizzati dai ricercatori di Confprofessioni, mettono in evidenza le differenze tra uomini e donne nel lavoro part-time. In media, il 9,6% degli uomini in Europa lavora a tempo parziale, ma la situazione cambia notevolmente per le donne, dove la percentuale sale al 29,3%. Questo divario di quasi 20 punti percentuali dimostra come il part-time sia principalmente una prerogativa femminile. Tuttavia, le differenze non finiscono qui. I dati variano notevolmente tra i paesi: ad esempio, in Bulgaria, solo l’1,6% degli uomini lavora part-time, mentre nei Paesi Bassi questa percentuale arriva al 25,7%. Tra le donne, invece, la variabilità è ancora più marcata, con una percentuale che va dall’1,9% in Bulgaria al 64,1% nei Paesi Bassi.
In paesi come Germania e Austria, circa metà delle donne occupate lavora part-time, mentre per gli uomini la percentuale è molto più bassa, circa il 13%. Al contrario, in Italia, la percentuale di donne che lavora part-time è del 31,5%, un valore che si avvicina alla media europea. Tuttavia, in Italia emerge una situazione preoccupante: una parte significativa delle persone che lavorano part-time lo fa non per scelta, ma per necessità. Infatti, il 69,3% degli uomini e il 50,2% delle donne che lavorano a tempo parziale in Italia preferirebbero un impiego a tempo pieno, segnalando un problema di sottooccupazione.
In altri paesi, come la Germania o i Paesi Bassi, le percentuali di part-time involontario sono molto basse, dal 3% al 9% per gli uomini e dal 2% al 6% per le donne. Questo riflette una situazione molto diversa, dove il part-time è visto come un’opportunità per conciliare lavoro, studio e vita personale, invece di essere una condizione imposta dal mercato del lavoro.
La differenza nel modo in cui viene vissuto il part-time in Europa dipende molto dal modello economico e dal contesto lavorativo di ogni paese. Mentre in paesi come la Germania il part-time è un modello accettato e utilizzato volontariamente, nei paesi del Sud Europa, come Italia, Spagna e Grecia, è più frequentemente una condizione forzata. Questo è il risultato della terziarizzazione dell’economia, che ha portato alla proliferazione di contratti a tempo parziale, soprattutto nei settori a bassa qualificazione, come il turismo o i lavori legati a pulizie e facchinaggio. In questi contesti, il part-time non rappresenta una scelta flessibile, ma spesso è un vincolo, imposto dalla mancanza di alternative migliori o più remunerative.
In sintesi, sebbene il part-time possa essere una risorsa importante in alcuni paesi per favorire la partecipazione al mercato del lavoro e l’equilibrio tra vita privata e professionale, in altre realtà, soprattutto nel Sud Europa, il lavoro a tempo parziale è più frequentemente associato a disparità e difficoltà economiche, confermando come il part-time possa avere significati e impatti molto diversi a seconda delle politiche e delle strutture economiche di ciascun paese.
Per maggiori dettagli, ti invitiamo a consultare il IX Rapporto completo sulle libere professioni 2024, disponibile al seguente link.